Viaggi nel tempo

a cura di Ellen Truccolo, 4AC – Liceo Classico

Vi siete mai chiesti come sarebbe se il mondo tornasse indietro nel tempo? 

Come sarebbero la nostra vita, il paesaggio, la cultura, le usanze e la quotidianità in un contesto completamente diverso?

Purtroppo i viaggi nel tempo non esistono, ma grazie ai racconti e agli aneddoti dei nonni e alle testimonianze scritte di svariati autori, siamo riusciti a ritagliare un pezzo della loro gioventù sospirata, delle loro esperienze e disavventure, rielaborandole con l’immaginazione e immedesimandoci in loro e nei personaggi dei romanzi.

Spesso, infatti, non riusciamo a concepire un mondo senza la tecnologia, senza le comodità moderne, senza le auto e i telefoni, considerando quasi assurdo e ridicolo il metodo che si utilizzava un tempo per svolgere una determinata azione.

Erano anni diversi, erano anni duri e ricchi di povertà, di fame, di discriminazione tra sessi. 

Si era divisi dalle classi sociali, dalle rivalità e dagli interessi familiari e spesso si viveva in un contesto di guerre e di violenze di ogni tipo. 

Ma nonostante questo l’umanità è riuscita ad andare avanti, a superare gli ostacoli più ardui e a ricominciare con il sorriso sulle labbra e con la speranza per tempi migliori.

Proprio per questo motivo voglio proporre questa rubrica di “viaggi del tempo”, nella quale tramite l’aiuto di testimonianze, libri e film, ma anche di miti e leggende popolari, proverò a rielaborare una storia con personaggi del tutto nuovi.


 La Seconda Guerra Mondiale

Era il 1940.

Ricordo che in quel lontano giorno d’inizio estate faceva già molto caldo e si sentiva lo stridere delle cicale sotto le fronde degli alberi. Il sole splendeva nel mezzo di un cielo tersissimo, bruciandomi sulla pelle.

Come ogni sabato, mi stavo dirigendo al campo sportivo, dove eravamo soliti praticare l’attività fisica, con adosso la divisa corrente che dovevamo mettere: il berretto a basco di lana nera, la camicetta a maniche corte con un fazzoletto annodato sul davanti, la gonna nera plissettata, le calze bianche che mi arrivavano fino alle caviglie e le scarpe di cuoio nero ai piedi. 

Per arrivarci, dovevo camminare fino al paese vicino al mio, ovvero per due chilometri: non mi dispiaceva farlo per così tanto tempo, dato che una volta lì mi sarei trovata con le mie amiche.

Avevo solo sei anni, ma allora non c’erano le preoccupazioni del giorno d’oggi. 

C’erano meno pericoli per le strade e più serenità nell’aria, cosa che ti faceva gustare ogni attimo della giornata.

Quindi per mia madre non era mai stato un problema lasciarmi andare da sola.

Mi piaceva fare ginnastica, mi divertiva molto e la trovavo un modo per stare in compagnia con le mie amichette, perché potevamo raccontarci a vicenda le nostre avventure e i nostri giochi, facendo contemporaneamente anche un buon esercizio fisico.

Ricordo ancora tutte le canzoni, i giuramenti e le poesie fasciste che dovevamo eseguire ogni settimana, che, ovviamente, noi “figlie della lupa”, ancora troppo piccole per capire qualcosa di politica, recitavamo come un gioco.

Era il 1940.

Quella sera, una volta finita l’attività fisica e salutate le amiche, mi avviai verso casa, contenta e sorridente per il bel pomeriggio passato in compagnia. 

Era ancora chiaro e la luce rifletteva sulle facciate delle case e degli alberi che costeggiavano il viale che dovevo percorrere. Il vento tiepido mi ristorava dall’afa serale e…

E poi all’improvviso sentii le campane.

I forti rintocchi risuonavano tutt’intorno, con un rimbombo quasi macabro e sinistro, che mi fece accelerare il passo nell’ultimo tratto che mi divideva da casa. 

Il borgo dove abitavo era di solito molto vivo e allegro, ricco di risate e di chiacchiere provenienti dall’interno delle abitazioni. 

Ma quella sera era come se le campane avessero fermato il tempo.

C’era silenzio.

Un silenzio quasi surreale.

Entrai in casa e subito venni accolta dai miei genitori e da altre due donne in preda alla disperazione e all’angoscia. 

Aggrottai la fronte e li guardai perplessa, iniziando a provare un’ansia crescente a mano a mano che i quattro adulti si scambiavano esclamazioni e domande senza alcuna risposta.

“Siamo entrati in guerra! Siamo entrati in guerra!”

“Che cosa faremo adesso? Che cosa ci succederà?”

”Oh poveri noi!”

Non riuscivo a capire perché una notizia del genere provocasse così tanta preoccupazione. 

Ero ancora molto piccola e i miei principali problemi giornalieri erano il non poter andare a trovare le mie compagne di classe per giocare o di farmi beccare da mio padre dopo una delle mie tante marachelle.

Solo dopo alcuni mesi si iniziaro a notare le conseguenze di questi avvenimenti che ho raccontato.

Era il 10 giugno 1940 e Mussolini aveva appena annunciato l’entrata in guerra dell’Italia al fianco della Germania per fronteggiare le forze militari inglesi e francesi e, da quel giorno, la Seconda Guerra Mondiale, ricca di violenza e di crudeltà, di morte e di cambiamenti ebbe inizio.

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