Niente è perduto, solo assopito.

Abbiamo avuto il piacere di intervistare il prof. Donner e di scambiare due chiacchiere con lui, riflettendo sulla situazione che stiamo vivendo e sulle sue esperienze personali

D: Buongiorno, Prof, grazie per averci concesso un po’ del suo tempo. Entriamo subito nel vivo: se dovesse pensare ad una citazione da condividere con noi in questo momento, quale sarebbe?

R: “I figli sono come aquiloni”, recitava Madre Teresa di Calcutta, “[…] insegnerai loro a volare, ma prima o poi prenderanno il loro volo […]”.

D: Ce la potrebbe commentare?

R: I miei figli sono l’esperienza più incredibile che abbia fatto e che stia facendo, anzi dovrei dire abbiamo fatto, aggiungendo la mamma.

Quando esci dall’ospedale con un frugoletto di pochi giorni e arrivi a casa, ti rendi conto che hai dimenticato al nido di chiedere il libretto delle istruzioni. Quindi arrivano i consigli di mamma, suocera, zii, amici e parenti tutti che, con tanto amore, ti creano un casino benevolo (perdonate la parola!) di punti di domanda, frastuono e ansia. Tutto questo svanisce di colpo, perché la Natura ha fatto le cose per bene e basta prendere in braccio tuo figlia o tuo figlio, coccolarla, accudirla, parlarle, e soprattutto posarla al seno di mamma e, come d’incanto, ti senti pronto per attraversare le nevi eterne dell’Himalaya. Tutto questo fino alla poppata successiva, quando, un po’ preoccupato, ti rendi conto di aver tra la mani un vero e proprio tubo digerente a ciclo continuo che ti ha tolto il sonno e anche il disgusto per deiezioni e simili. Queste, quasi per magia, non solo diventano abitudine, ma anche argomento di discussione per giovani genitori, magari in compagnia di vecchi amici ad un pizza che ti guardano come fossi Cristo agli Inferi. 

Cresci insieme a loro, praticamente ora dopo ora, e divieni genitore parallelamente a come loro diventano bambini, adolescenti, giovani, ragazzi, adulti.

La storia si plasma di prime volte: la prima parola, i primi passi, il primo gioco, il primo amico fino ad argomenti più complessi come la prima domanda esistenziale, la consapevolezza del super ego, il primo amore. E sono prime volte anche per te. 

D: Come mai ripensa alla sua avventura come padre e la condivide con noi?

R: Perché ieri è stata la volta della prima lezione di batteria di mio figlio Francesco. Ho copiato l’esperienza di mio padre, lungimirante, che mi vide piangere da bambino, fermo immobile di fronte alla radio che trasmetteva un Notturno di Chopin. Pensava stessi male, poi comprese che era un “male interiore”, era malinconia, o forse il subbuglio dell’anima che, attraversata da armonie di tale intensità, rimaneva come paralizzata e sfogava il suo istinto di sopravvivenza in lacrime liberatorie. 

Così io iniziai a studiare pianoforte e così mi ricordo l’opportunità che mi diede mio padre. Volevo dare la stessa opportunità a Francesco, che da molto tempo batte, con frasi  ritmiche significative, su qualsiasi superficie abbia di fronte con qualsiasi percussione abbia, comprese le mani. 

Così c’è stata la sua prima volta ed anche la mia, stavolta in vece di genitore. Ho ritrovato il mio vecchio compagno di strimpellate, Maestro Andrea De Marchi, percussionista e batterista di fama internazionale e carico di una empatia e di una maestria didattica giusta per bambini che si avvicinano al mondo della musica.

D: Come ha vissuto l’esperienza?

R: Ho fotografato con gli occhi l’espressione di mio figlio, da quando l’ho lasciato in studio, bardato di mascherina e di disinfettanti, a quando sono andato a riprenderlo. E’ stato, ancora una volta, il compenso più che adeguato all’investimento di fatiche, di energie e di sacrifici che un genitore inserisce nel bilancio della sua famiglia. Vederlo camminare “a due metri da terra” e sentirlo raccontare con dovizia di particolari, secondo dopo secondo, la sua  prima esperienza musicale, mi ha ridato fiducia nella bellezza della curiosità, nell’energia dell’entusiasmo, nella forza della speranza.

D: Perché ha voluto condividere questo momento personale con noi?

R: Perché tutto questo mi ha riportato a pensare al Bene, al Vero, al Bello, i tre pilastri su cui si basa il Pio X, soprattutto in un periodo che invece di avvicinarci ci allontana.

D: Cosa vorrebbe dire a tutti gli studenti in questo momento?

R: Quello che ripeto ai miei figli e ai miei adorati studenti è: niente è perduto, solo assopito. Presto, torneremo a volare come aquiloni in cielo. Presto il torpore a cui siamo tutti un po’ costretti svanirà e usciremo dal letargo di questo periodo strano. Presto ci risveglieremo per tornare a sorridere insieme.

Grazie

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