Le opere di Antonio Canova prendono vita…

a cura di Sebastiano Giovanetti, 4AM (Liceo Linguistico Europeo, Indirizzo Moderno)

Perché forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi la passione.

(“Metamorfosi”, Apuleio)

I miti hanno sempre stuzzicato la fantasia di tutti noi, accendendo la miccia delle passioni, della curiosità e del sogno.

…Molto probabilmente, furono simili parole a riecheggiare nella bottega di uno degli artisti più grandi del diciottesimo e diciannovesimo secolo: mentre la sua mano impugnava legno e grafite, seguendo l’ispirazione o il furore del mito, egli disegnava uno schizzo da riportare sul marmo.

Antonio Canova carpiva i dettagli più rilevanti di questi miti mentre già si immaginava la grandezza delle sue statue…


Egli morì il 13 ottobre del 1822, quindi ormai duecento anni fa; in occasione di questo traguardo
importante, la quarta liceo linguistico ad indirizzo moderno ha trovato il modo di riportare alla memoria il più grande artista neoclassico.

Infatti, ciascuno studente ha dato vita ad un’opera, scegliendo diversi modi per fare storytelling.

Alcuni contributi sono scritti, mentre altri si possono ascoltare nel Podcast degli studenti al seguente link:


Buona lettura e buon ascolto!!


AMORE E PSICHE

Antonio Canova, uno dei più grandi, se non il più grande, scultore italiano, visse tra il 1757, anno in cui nacque, e il 1822, quando morì nel capoluogo veneto. 

Egli fu il massimo esponente del Neoclassicismo non solo in Italia, ma anche in tutta Europa, lavorando come Ispettore Generale delle Belle Arti dello Stato Pontificio dal 1802 e, quindi, intrattenendo rapporti con le figure regnanti più importanti, tra cui Napoleone Bonaparte.

La quasi totalità delle sue opere è stata scolpita attorno ai più famosi miti greci: Orfeo ed Euridice, Dedalo e Icaro, Teseo e il Minotauro, Adone e Venere e, ovviamente, Amore e Psiche.

La storia dei committenti di Amore e Psiche, scolpita tra il 1788 e il 1793, è alquanto singolare.

Nel 1787, il colonello John Campbell (1723-1806) commissiona a Canova l’opera, ma non gli verrà mai consegnata. Allora, l’acquisterà l’olandese Enrico Hoppe, tuttavia l’opera rimarrà, di nuovo, nell’atelier di Canova. In seguito, verrà acquistata e presentata nel 1801 nel castello di Villiers-la-Garenne, Neuilly-sur-Seine da Joachim Murat (generale francese, 1767-1815). Nel 1808, viene poi ceduta a Napoleone in cambio di alcuni territori del Regno di Napoli e trasportata al Louvre il 28 marzo 1809. Dopo un breve lasso di tempo tra il 1809 e il 1822 esposta a Compiègne, verrà riportata al Louvre un mese dopo la morte di Antonio Canova, il 13 novembre 1822.

Ancora oggi è esposta al Louvre nella stanza 403, la galleria di Michel-Ange (Michelangelo).

Come dice il nome, l’opera fa riferimento al mito di Amore e Psiche raccontato da Apuleio (scrittore e filosofo latino, 125-170) ed è contenuto nel suo libro Le Metamorfosi anche conosciuto come L’asino d’oro.

Il mito narra di una fanciulla, Psiche, talmente bella da guadagnarsi l’appellativo di Venere, scatenando così l’ira della dea. Dunque, quest’ultima manda suo figlio Amore (Cupido) per farla innamorare dell’uomo più brutto e avaro della Terra; tuttavia qualcosa non va e Cupido finisce per colpire se stesso, innamorandosi della giovane.

Nel frattempo, dato che Psiche non trovava marito per la sua avvenenza che incuteva devozione più che amore, seguendo il consiglio di un oracolo, i genitori della fanciulla decidono di abbandonarla su una rupe. E’ proprio quello il luogo in cui viene presa da Amore che la porta nel suo castello, dove i due si uniranno in una passione senza eguali, all’insaputa di Venere. Tuttavia, c’è un patto che Psiche deve rispettare: di non vedere mai il suo amato in volto. Lei, però, per curiosità, spinta dalle sorelle e per paura di scoprire di essersi unita ad un uomo dal brutto aspetto, si avvicina a lui con una lampada a olio, resta folgorata dalla sua bellezza, tanto che una goccia d’olio cade su di lui e lo sveglia. Patto spezzato. Il dio fugge, lasciando Psiche da sola. Immediatamente, lei va alla ricerca del suo amato, passando per ogni tempio e fermandosi infine in quello di Venere, che la sottoporrà a tre prove per rivedere Amore. L’ultima prova sarà quella di scendere agli Inferi e chiedere a Proserpina un po’ della sua bellezza; durante il viaggio di ritorno, Psiche non resiste ed apre l’ampolla consegnatale dalla dea degli Inferi. Quest’ampolla custodiva un sonno profondissimo, il segreto della bellezza, e Psiche si addormenta, sopraffatta da tale potere. Per salvarla, Amore scende agli Inferi, la risveglia e chiede a Giove di portarla nell’Olimpo dove berrà dell’ambrosia, diventando immortale. In una notte d’amore tra Amore e Psiche, lei resterà incinta di una figlia che si chiamerà Voluttà, ovvero Piacere.


 La scultura di marmo e metallo è alta 1,55 metri, larga 1,68 metri e profonda 1,01 metri.

Il momento immortalato da Canova è quello che precede il bacio tra i due amanti. L’opera si sviluppa con un chiasmo tra le due figure: la retta condotta con la gamba destra e l’ala sinistra di Amore forma una “x” con la linea creata dal corpo di Psiche e l’ala destra di Amore. Tuttavia, Canova rende queste “rette” in maniera dolce, creando due sorte di archi.

Amore, dall’alto, abbraccia Psiche prendendola da sotto il seno e lei ricambia l’abbraccio cingendogli il collo. Le braccia di Psiche formano un’ellisse che si interseca con quella formata dalle braccia di Amore, evidenziando così il punto focale dell’opera: lo spazio tra i volti dei due amanti.

Per coprire il basso ventre di Psiche, Canova scolpisce un velo che, in seguito, si adagia delicatamente anche sopra il masso sul quale avviene questo tenero incontro.


Il vasto repertorio della mitologia greca è ampiamente sfruttato nel Neoclassicismo, non solo in ambito scultoreo: nello specifico caso di Amore e Psiche, anche nella pittura c’è spazio per ricordare questi due amanti. Jacques-Louis David (1748-1825) nel 1817, durante il suo periodo di esilio a Bruxelles, immortala i due amanti finalmente insieme e felici.

Jacques-Louis David, CC BY 3.0 https://creativecommons.org/licenses/by/3.0, via Wikimedia Commons

Venere dea della gelosia

Le divinità greche non sono celebri solo per i loro straordinari poteri, per le loro gesta indimenticabili, ma anche per le loro caratteristiche umane come l’ira, la passione, l’invidia, la gelosia …

“Non ti dà fastidio?” chiese Venere a Giove.

“A cosa ti riferisci?”

“A tuo figlio Amore e alla sua fastidiosissima amata. Guardali in quella statua scolpita tra il 1788 e il 1793. Guardali come sono uniti in quella forma a chiasmo. Guardali come si abbracciano, guardali come sono vicini per baciarsi. Insomma, non ti manda in bestia? Non ti irrita il pensiero che siano nella città dell’amore terrestre dal 13 novembre 1822?” si alterò Venere.

“Ti metti a contare anche i giorni adesso?” rispose Zeus “Lasciali in pace, lascia che si amino. Dici così solo perché Psiche è una donna dal bell’aspetto, sei gelosa”.

“Io? Gelosa? Non lo sono mai stata e mai lo sarò… Ma insomma guardali! Guarda come mio figlio le cinge il seno. Osserva lo sguardo innamorato. Odia come odio io il fatto che si stiano per baciare. Guarda le loro braccia che formano dei cerchi che mettono in risalto proprio quel momento! Mi stai a sentire o no?”

“Venere, smettila. Sei ridicola. Essere gelosa di una mortale era un conto, ma lei ha già bevuto l’ambrosia, è immortale adesso, è la dea delle fanciulle e dell’anima” disse Giove.

“Che nervoso…” disse Venere andandosene indignata.

Dall’Olimpo, da una delle nuvole più in alto del cielo che si confondeva con la notte, Venere osservava la statua esposta nella stanza 403, nella galleria di Michel-Ange. Più la guardava e più scorgeva nuovi dettagli, come la veste panneggiata che copre il basso ventre di Psiche; più la rimirava e più la gelosia le stringeva il collo, le occludeva la bocca dello stomaco, le faceva serrare le mani in pugni strettissimi fino a sanguinare, le faceva digrignare i denti…La corrodeva. Ad un certo punto, non ne poté più e cercò di liberarsi della sua maledizione, la gelosia, scagliandola contro la statua raffigurante Psiche: come una torcia che si accende nel buio, un raggio di luce giallo si liberò da Venere e colpì la fronte marmorea di Psiche. Esattamente da quel punto, il colore del marmo cominciò a diradarsi, a scoprire i colori umani dell’amata di Amore fino alla punta del suo alluce e, allora, cadde dal piedistallo. Psiche si alzò senza capire dove fosse, immersa in una luce tenue, si guardò intorno fino a girarsi e a vedere Amore pietrificato. Immediatamente, delle sfere d’acqua comparvero agli angoli dei suoi occhi e ben presto scoppiarono in rivoli di lacrime.

“Amore” esclamò con la voce rotta “Amore mio, cosa ti è successo?” sussurrò dopo essersi avvicinata “Chi ti ha fatto questo? Chi è quel vile che ti ha imprigionato in questo marmo soffocante? Come faccio a liberarti? Per favore, Amore, rispondimi” disse piangendo sempre più forte e bagnando il marmo.

Psiche, disperata, indossò il panneggio anch’esso liberato dalla prigione di pietra e provò a rimettersi tra le braccia dell’amato, sperando di diventare come lui, di diventare pietra, ma invano. Allora, cominciò a girare attorno la statua, appartenuta anche a Napoleone Bonaparte, più precisamente attorno al masso che faceva da piedistallo e conferiva una certa tridimensionalità alla statua. Psiche non smetteva di passare la sua mano sul freddo marmo, accarezzando tutto di lui: dalla schiena alle ali finemente realizzate da Antonio Canova. Si soffermò sul suo viso: quanto aveva amato e continuava ad amare quel viso angelico, più bello di un dio.

Dopo un lungo lasso di tempo, si rese conto che accarezzarlo non sarebbe bastato a riportarlo in vita, a riportarlo da lei, e quindi si allontanò da lui.

“Torno subito, Amore” disse prima di andare.

Cominciò a vagare per il Louvre cercando un indizio, qualcosa che potesse guidarla, che potesse dirle cosa fare. Lei sarebbe tornata agli Inferi da Proserpina per riaverlo, per abbracciarlo ancora, per un’altra volta soltanto, anche se sapeva che non le sarebbe bastato: lei lo voleva per l’eternità ed era certa che lui volesse lo stesso. Ad un certo punto, si imbatté nella Venere di Milo anche lei pietrificata.

“Ma cosa sta succedendo? Anche tu Venere? E le tue povere braccia…” disse Psiche impietosita dalla sorte infelice. La sposa di Amore si avvicinò all’enorme statua di Venere (alta 2,02 metri) per cercare qualcosa che potesse aiutarla risolvere la situazione, ma non una parola né un indizio si palesarono. Allora, si diresse da un’altra parte, incontrando anche la Diana di Versailles, ma niente sembrava smuovere nemmeno lei, come se fosse sotto l’effetto di un incantesimo. 

“Diana, per favore, dimmi qualcosa. Dove siamo? Chi ci sta tenendo rinchiusi? Chi sono questi altri?” chiese Psiche, ma Diana non sbatté nemmeno gli occhi e Psiche si allontanò delusa.

Mentre stava tornando da Amore, un quadro l’attrasse. Questo dipinto aveva una luce diversa, dei colori che non sembravano gli stessi delle altre opere. Prima di guardarlo chiaramente, Psiche lesse ad alta voce un cartello con delle informazioni.

“In collaborazione con il Cleveland Museum of Art, il dipinto di Jacques-Louis David (1748-1825) Amore e Psiche…Un momento, ma questi siamo noi!” e allora si avvicinò al quadro e vide lei stessa accanto ad Amore.

“Oh, Amore, come sei bello” disse, mentre una lacrima le divideva la guancia destra “Oh, Amore, come voglio riabbracciarti. Ti prego, dimmi come fare, dimmi che vuoi abbracciarmi, dimmi che vuoi ancora le mie labbra, dimmi quanto mi ami. Io non riesco più a sopportare questa tua assenza…Mi sta distruggendo il cuore. Per te ho superato le tre prove di Venere, sono andata all’Inferno per il tuo amore, ho raggiunto persino Proserpina e, quando ho aperto ingenuamente l’ampolla e mi sono addormentata, al mio risveglio ho trovato te che mi salvavi. Salvami ancora, ho bisogno di te. Salvami, Amore”.

Venere assistette a quella scena e i suoi sentimenti allentarono la tensione su di lei, Psiche aveva rotto la sua maledizione, la sua gelosia. Adesso, Venere si sentiva triste e stupida, doveva aiutarla.

“Psiche, eccomi” disse Venere, raggiungendo la ragazza.

“Venere! Sono così felice di vederti! Tu sai cosa sta succedendo?”

“Sì ed è colpa mia. Io sono terribilmente dispiaciuta, sono stata accecata dalla gelosia e ti ho separata da mio figlio per un mio capriccio, perdonami Psiche” disse sinceramente Venere.

“Adesso” continuò “Sono qui per aiutarti, per riunirvi. Vedi, questo è un luogo di interesse per gli umani moderni, si chiama museo e alcune persone ci raffigurano con delle statue come nell’antica Grecia. Sono riproduzioni di noi dei”.

“D’accordo, ho capito Venere. Adesso mi rimetterai al mio posto tra le braccia di Amore?”

“Certo” rispose Venere porgendole la mano che venne presa da Psiche.

Le due dee si incamminarono verso la statua alta 1,55 metri, larga 1,68 metri e profonda 1,01 metri, mano nella mano.

“Vai, mettiti di fronte Amore” disse Venere.

“Qui va bene?” chiese Psiche.

“Sì, volevo scusarmi ancora una volta. In realtà, sono felice che sia proprio tu ad aver vinto il cuore di mio figlio” confessò Venere che, prima di poter fondere di nuovo i due amanti, subì un abbraccio di Psiche.

“Grazie Venere”.

La dea della bellezza riunì i due amanti e ci fu un raggio di luce, come una torcia che si accende nel buio.

La mattina seguente gli esperti d’arte del Louvre erano radunati tutti intorno alla statua di Amore e Psiche e si accorsero di un dettaglio fuori dal normale: qualcosa nel volto di Psiche era cambiato, adesso sorrideva dolcemente.


BIBLIOGRAFIA:

https://collections.louvre.fr/en/ark:/53355/cl010091976

https://drive.google.com/file/d/1uPocVAcQiwia6r1J5eOP1hdZ2LYCsXsg/view

https://www.studenti.it/favola-amore-e-psiche-apuleio.html

https://it.wikipedia.org/wiki/Amore_e_Psiche

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